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Shel Shapiro racconta i suoi Anni ‘60

Ci sono artisti che, come un buon vino, con il tempo consolidano il loro valore. A questa categoria sicuramente appartiene Shel Shapiro, giunto a Trieste, al Teatro Miela, con un concerto dedicato ad uno dei periodi più ricchi di speranza, gli Anni ‘60.

“Sarà una bella società”, questo il titolo è un concerto “politico” dove conta piú la testimonianza, e una squisita carica umana, che la perfezione dell’esecuzione, ma che nulla toglie alla bellezza di una esibizione autentica. Dove ti ritrovi a ripercorrere decenni in musica tra le canzoni e gli autori significativi degli Anni ruggenti, passando da Bob Dylan (Blowing in the wind) e gli altri cantautori americani, a Mia Martini (Quante volte) da Luigi Tenco (Caro maestro) ai suoi connazionali, i Beatles, sulla scia di ricordi che sembrano ieri ma che non lo sono, e che David Norman Shapiro – questo il nome all’anagrafe inglese – tira fuori “dalla sua vita” con naturalezza anche quando sono drammatici, come un mago dal suo cappello.

L’artista è, a tutti gli effetti, un simbolo ormai delle generazione Beat. È un leone in scena, oltre a un abile intrattenitore dall’immutato fascino, in grado di rifuggire dalla tentazione di cadere nella nostalgia di un passato, alla quale invece preferisce la rabbia e l’autoironia de presente: “ ci siamo rilassati e ci siamo lasciati andare, questa la nostra colpa – dice- davanti ad una democrazia che è stancante” commentando con il tipico accento inglese, il suo ‘68.
“Italiano” acquisito ma di origine ebrea-russo, Shel, non solo musicista ma anche autore, arrangiatore e produttore di grandi artisti, inizia raccontando il suo arrivo “ quasi fossimo profughi”, dice, nel ‘63, in una Milano grigia. Con lui i suoi Rokes, con cui ha venduto milioni di copie di dischi. Descrive a parole e in musica in poco meno di due ore di spettacolo, l’Italia che fu – quando bastava una stretta di mano per fare un contratto e le donne vestivano per lo più rigorosamente in nero-, le grandi speranze d’America, l’insurrezione culturale che ambiva ad una fratellanza mondiale. Non tralascia le grandi delusioni, segnate dagli omicidi dei Kennedy e di Martin Luter King perché anche quegli anni furono densi di tragedie. Emerge una riflessione sulle trasformazioni culturali di quel periodo, che ci interroga ancora oggi, che porta avanti il percorso già iniziato con il libro Storie, sogni e rock’n’roll, il cd Acoustic Circus e l’opera teatrale “Sarà una bella società”, con la preziosa collaborazione di Edmondo Berselli, politologo, opinionista e brillante scrittore,

Ne viene fuori un concerto impreziosito dal racconto, tra battute e riflessioni, oltre che da splendidi arrangiamenti musicali, davanti a una platea gremita, matura e, questa si, forse nostalgica che non ha dimenticato le sue canzoni più famose, da “Che colpa abbiamo noi” “Bisogna saper perdere”, “ C’è una strana espressione nei tuoi occhi”, “ Non dipende da Dio”. Shel apprezza, ironizza e quasi si stupisce che il suo pubblico non ha dimenticato, o, forse, che certe canzoni siano rimaste sempre lì, nella memoria. Come se non fosse passato il tempo, come se il sogno sia ancora vivo nei cuori di chi, nel ‘68, c’era.

Monica Ferri - Radio Punto Zero