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SHOOTING SILVIO

Il primo film scritto e diretto dal giovane Berardo Carboni racconta la rivolta e il senso di rivalsa di un giovane trentenne cresciuto e nutrito dal berlusconismo.

La voglia di uccidere Berlusconi può diventare un'ossessione pericolosa. E' il tema di Shooting Silvio, primo film scritto e diretto dal giovane Berardo Carboni. Il protagonista si fa chiamare Kurtz, ma non ha il carisma demoniaco del Marlon Brando rasato a pelle e sprofondato nella jungla vietnamita. Il Kurtz di Carboni all'anagrafe si chiama Giovanni e rasenta i trent'anni. Ovvero appartiene ad una generazione che nella prima infanzia si baloccava con “Piolo” Bonolis e il sozzo cane rosa Uan. Che i primi turbamenti erotici li deve ai decolleté espansi di Lory Del Santo e Tinì Cansino, che vendevano pop corn nel “Drive in”, tra i lazzi grevi di Ezio Greggio e i monologhi qualunquisti di Gianfranco D'Angelo. Chi era il regista mica tanto occulto di tanto scempio mediatico? Silvio Berlusconi, of course. Col passare degli anni Silvio si manifesta come presenza strisciante e persistente, tuttavia sempre in sottotraccia. Lo intuivi all'ombra di Bettino, inebriarsi ingordo nella Milano da Bere. Ti sbucava fuori dalle coppe del Milan, lo si sentiva palpitare come un ultracorpo nel sudore di Giuliano Ferrara, nel pallore di Bondi, sotto la pelle essiccata dalle lampade di Fede, fra le pieghe del doppio mento di Gerry Scotti, fra i perizomi delle veline. C'è persino nel fondo delle pupille spiritate dei suoi detrattori più accaniti: come Marco Travaglio, che si ritaglia un ruolo nel film di Carboni.
Uno dell'età di Kurtz può reagire male, quando capisce che Berlusconi ha invaso fin dall'infanzia ogni istante della sua vita. E' troppo: decide di ucciderlo. Nel film, grandioso il cammeo di Remo Remotti nei panni di un tassista, gustosissimo quello di Alessandro Haber nelle vesti inedite di un filippino.
Shooting significa sparare, ma anche filmare. “Il titolo è forte, ma è un gioco di parole, a sottolineare il tono surreale in cui si svolge il film”, ha chiarito Berardo Carboni.
Girato completamente in MiniDV, con telecamerine amatoriali da quattromila euro, con l'aggiunta di ottiche cinematografiche, arriva anche a Trieste al Teatro Miela con un metodo di distribuzione innovativo, che in futuro potrà servire anche ad altri giovani registi che non riescono a far vedere le proprie opere”. La pellicola è una produzione indipendente da 150 mila euro, finanziata sia con i soldi raccolti attraverso dibattiti, rappresentazioni teatrali, dj sessions, vendita di merchandising, sia dalla Kublakhan di Umberto Massa.
«Nel film c'è il disagio verso il potere politico di Berlusconi – spiega Carboni- , verso un sistema di valori basato sull'essere vincenti a tutti costi, ma anche il disprezzo per ogni azione violenta». «Non incito alla violenza » – «Considerare però “Shooting Silvio” un film che incita alla violenza sarebbe come ritenere “Platoon” un inno alla guerra» precisa il regista riferendosi al capolavoro di Oliver Stone sul conflitto in Vietnam. «I fatti di questi giorni, l'arresto dei terroristi, hanno reso il film ancora più attuale ma non va visto come un documento giornalistico – spiega Carboni -. Io voglio raccontare soprattutto il disagio esistenziale di una generazione che non si rispecchia in un certo tipo di società. Il mio è un film sulla vita”.

Si fa chiamare Kurtz, è un giovane e ricchissimo orfano che si ispira al personaggio di Marlon Brando in Apocalypse Now, quella maschera enigmatica che già fu nel cuore di tenebra conradiano. Una sera – dopo lunghe meditazioni – decide di radunare nella sua villa tutti gli amici per proporre loro la stesura di un libro collettivo. Cento capitoli, scritti da altrettanti voci, per escogitare un modo che annienti lo strapotere di Silvio Berlusconi, reo di aver portato in Italia la decadenza dei costumi, il consumismo volgare delle pubblicità, simbolo di un paese ormai alla deriva. Dopo aver rimediato solo pacche sulle spalle e risatine, decide di persistere solitario nel suo progetto. Fino a portarlo a una drastica decisione: uccidere l'ex Presidente del Consiglio.
Shooting Silvio regala uno strano disagio nella mezz'ora iniziale, un senso di stordimento e di vago malessere che porta quasi ad abbandonare la sala. Il tema è fin troppo usurato, le soluzioni narrative piuttosto forzose, la “pedagogia” del testo fuori da ogni fruibilità. Se invece si resiste fino al termine della proiezione, si assiste con pathos e cinica ironia a un esperimento anomalo nel panorama culturale italiano, un esperimento privo di sbavature e retoriche, un film che non cerca né odio, né vendetta. Grazie a una regia che cela per incanto l'inesperienza del giovane Berardo Carboni – autore del libro prima, e della sceneggiatura poi – si può persino essere testimoni di un'ora e mezza di buon cinema.: un intrigo fantapolitico che merita e strappa qualche applauso.
Delizioso il cammeo di Remo Remotti nei panni di un tassista, gustosissimo quello di Alessandro Haber nelle vesti inedite di un filippino. Bravissimi e credibili gli attori, aiutati – poco – dai filmati d'archivio che ripercorrono i dieci anni della discesa in campo.
Quale giudizio si può dare a un regista che sceglie di portare sullo schermo, nella sua opera prima (soggetta dunque a una feroce critica) un tema forte, retorico e scontato come quello della “mutazione antropologica”? Certo, non esageriamo. Shooting Silvio non è un film imperdibile. Ma tra le decine di tentativi di trasporre sullo schermo il disagio di questi anni – dall'elitario caimano di Moretti al documentario in chiave futuristica di Deaglio, il lavoro del regista romano non sfigura, regalando del buon cinema che riesce persino a far dimenticare il suo tema principale. Promosso.

fonte: https://www.mymovies.it/dizionario/recensione.asp?id=46951