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MIO PADRE VOTAVA BERLINGUER

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Due generazioni a confronto che continuano a incrociarsi e a scambiarsi memorie delusioni, nostalgie, vittorie e sconfitte.
“Continuo a scrivere papà, scrivere veloce, con la parola che attacca la parola, la riga che rincorre la riga, con lo spazio che si accorcia, e con le cose da dire che pretendono di essere raccontate.”
Una confessione al padre, un padre operaio-calzolaio sordomuto. Scomparso ma ancora vivo nel ricordo e nelle parole. Un padre che votava Berlinguer, ma, prima che per una scelta ideologica, per la consapevolezza che lui era “una brava persona”. E questo giudizio continua a premere sulla realtà rimasta, di oggi, e a porre problemi. Un buon padre, certo, anche se l’alcol era una delle sue debolezze. E un figlio che ripercorre una sua vita di cadute e risalite, private e pubbliche. Un figlio che rivendica la sua terza media, il suo operaismo, la sua irregolarità di scrittore, e che si pronuncia sull’attualità rimpiangendo, ma a occhio asciutto, la “fatica” di un tempo, la solidarietà.

Note di regia: ‘Mio padre votava Berlinguer’, la  trasformazione di un racconto letterario in azione drammatica è sempre una scommessa affascinante. Come tradurre fisicamente e visivamente nei limiti del palcoscenico il flusso d’immagini che la scrittura produce nella mente del lettore, superando ogni confine di tempo e di spazio? Come far coincidere i ritmi della parola pronunciata sonoramente in scena dagli attori con i ritmi emotivi interni e silenziosi dello scrittore che l’ha generata ?

Queste sono le prime domande che da regista mi pongo, in questo caso c’è un elemento fondamentale che aiuta e determina l’impostazione del gioco: è lo stesso Pino Roveredo ad essere al centro della scena, è la sua voce autentica a riproporre le immagini del suo racconto. Non fa l’attore, ‘è’ l’autore stesso che reinventa, con la complicità del pubblico, un dialogo dal vivo con le sue visioni.  Prima fra tutte è quella del padre, interlocutore e specchio, a cui un attore esperto come Alessandro Mizzi presta quella concretezza recitativa  che, dal teatro elisabettiano in poi, spetta a tutti i ‘fantasmi’ evocati sulla scena.

Il terzo elemento a completare il gioco è la musica, creata dal vivo da Tania Arcieri che con il suo organetto è pronta a modulare ritmi ed atmosfere, impersonando a tratti il profilo della madre.

Tre artisti diversi per tre diversi linguaggi: letteratura, recitazione e musica. E’ dall’equilibrio  

 di queste  espressività che prende vita il nostro spettacolo di cui la vera protagonista è la ‘scrittura’. Scrittura intesa come atto creativo autentico, che proietta l’esperienza personale dell’autore, la sua memoria, la sua visione del mondo che cambia, attraverso temi che ci riguardano tutti e su cui si sente l’urgente bisogno di una riflessione condivisa.

Parole che saranno anche protagoniste dello spazio scenico, scandito da 10 grandi fogli sospesi su cui è impresso il testo dell’intero spettacolo. (Massimo Navone)

(…) dialogo a tre voci. Pino Roveredo interpreta se stesso, con una sincerità struggente, in una confessione al padre incarnato da un intenso Alessandro Mizzi. Incarnato perché il ricordo del padre, la sua proiezione nella mente del figlio o – se si vuole – il suo fantasma, si fa corpo nell’attore permettendo un incontro. Tale incontro è accompagnato, guidato e sostenuto dalla terza voce: la musica mai scontata e puntuale dell’organetto di Tania Arcieri. bit.ly/2ykzIys (la Nouvelle Vague – Emiliana Provenzale)

“Qualcuno era comunista perché Berlinguer era una brava persona.” Il verso tratto dalla nota canzone di Giorgio Gaber è centrale in un sofferto, affettuoso e commovente dialogo fra un figlio, ora sufficientemente in pace e sereno dopo aver affrontato e superato numerosi inferni terreni, e un padre che forse dai propri non è mai riuscito a riemergere. Pino Roveredo ci ha abituato con efficacia a un narrare poetico privo di autoassoluzioni: coraggiosamente affonda il coltello nelle piaghe per meglio curarle e offrire possibilità di risalita ad altri che come lui erano affondati: “Occuparmi degli altri per occuparmi di me stesso. Sono anni che mi salvo salvando. bit.ly/2yf6yVD ( Corriere dello spettacolo – Paola Pini)

(ph. Max Baxa)