News

Quell’ossimoro che è “Ossimoro” e il ritorno a Trieste di Enrico Intra

L’agenda lavorativa mi rammenta che, mercoledì 17 maggio, sarò a Trieste dove terrò un concerto al Teatro Miela. Suonerò il pianoforte affiancato dal quartetto d’archi del Conservatorio “G. Tartini” di Trieste con il quale eseguirò una composizione dal titolo “Ossimoro”, scritta  pensando a Erik Satie, e a lui dedicata.

L’idea di suonare a Trieste mi rallegra, anche perché la sorte, o chi per essa, ha voluto che frequentassi poco questa splendida Città, quattro o cinque volte al massimo nell’arco della mia lunghissima - 70 anni e oltre- attività di musicista.

Eppure di Trieste ho ricordi incancellabili. Uno di questi risale ai primi anni Settanta del secolo scorso, se non erro. Franco Basaglia era da poco tempo il direttore del manicomio cittadino, come si diceva all’epoca. Il riformatore della psichiatria, insieme alla moglie e collega Franca Ongaro e ai suoi collaboratori, aveva trasformato il lugubre edificio di contenzione in un ambiente nuovo dove, oltre all’attenzione e alle cure mirate verso ogni singolo paziente, fervevano le attività lavorative e le iniziative artistiche  e culturali.

Grazie alle loro innovazioni Trieste era diventata il punto di riferimento in Italia, e non solo, per tutto ciò che concerneva la salute mentale e i suoi servizi. I degenti svolgevano un ruolo operativo all’interno della struttura e, a seconda delle singole inclinazioni, avevano modo di frequentare laboratori di ogni tipo, compresi quelli creativi di teatro, pittura e così via.

Fui contattato dallo stesso Basaglia per eseguire un concerto con il mio Trio all’interno dell’ospedale psichiatrico. Fui subito colpito dalla partecipazione che gli ospiti dimostravano per l’evento musicale. E mi colpì la serenità che si respirava all’interno delle mura. Tutto procedeva per il meglio. Fino a  quando,  poco dopo l’inizio del concerto, il mio sguardo si sollevò dal pianoforte e incrociò quello di un omone seduto nella prima fila. Era grande e grosso, enorme; e mi fissava, o così mi pareva (ah, i maledetti pregiudizi) , in modo minaccioso. Cercando di tenere a bada  l’inquietudine che cresceva mi concentrai sul pianoforte e nella musica  che stavamo eseguendo. Quando il concerto terminò ci fu uno scroscio di applausi, ovazioni, richieste di bis. Ero emozionato e travolto da quel calore, in un certo senso inaspettato trattandosi di musica d’ascolto non comune. L’omone a quel punto si alzò, si diresse verso di me e, sempre con quello sguardo torvo che mi aveva inquietato, mi afferrò e mi sollevò in aria come un trofeo. Quindi mi posò con delicatezza sul pavimento. Era visibilmente commosso e io non potei frenare l’impulso di abbracciarlo.  “Hai visto? La musica unisce tutti; la musica può fare miracoli”, commentò Franco Basaglia.

Nell’ultimo concerto del 2019, anch’esso tenuto al Teatro Miela, ho duettato con Fabio Jegher, noto batterista triestino che, come me, ama sconfinare in tutti i linguaggi musicali, tonali ed extratonali, mondo sonoro elettronico compreso. Una delle  composizioni che ho eseguito, avvalendomi dell’apporto dei live electronics suoni elaborati da Alex Stangoni,  si intitola “Dorfles”.  L’avevo scritta di getto qualche anno prima: un omaggio a un triestino di cui sono caloroso ammiratore. Da quando mi è stato regalato, il libro di Gillo Dorfles “L’intervallo perduto” non ha mai lasciato il capezzale. È diventato, come si soleva dire, il mio “livre de chevet” . Ogni volta che lo riapro, colgo un tassello, un senso, un’idea che porta una ventata d’aria nuova al mio pensiero, compreso il pensiero musicale .

Come  già accennato, la composizione “Ossimoro” è dedicata a Erik Satie. Definito, per la sua musica e  per la sua persona originale, paradossale, dissacrante, stravagante, tutti aggettivi che si attagliano perfettamente  al suo mondo musicale e al personaggio Satie. A mio parere, l’aggettivo più consono per definirlo, almeno dal punto di vista strettamente compositivo, credo che sia Essenziale. Essenziale nel rifiuto di qualsiasi ornamentazione; ostile alla sovrabbondanza di note, di cui tanti compositori e musicisti virtuosi non possono privarsi. Sostenitore e precursore di quell’horror pleni di cui parlaGillo Dorfles: “l’horror vacui deve lasciare il posto all’horror pleni… Malauguratamente solo pochissimi intendono questa fisiologica necessità del vuoto e della pausa. La maggior parte degli uomini è ancora profondamente ancorata all’errore del pieno e non all’orrore dello stesso… Solo così si potrebbe riacquistare quelle qualità fantastiche oggi in gran parte perdute...”.

Gli ossimori piacevano indubbiamente a Erik Satie. Tra i vari artifici letterari l’ossimoro è lampante, anche per chi ha poca familiarità con le figure retoriche. Non è subdolo come la litote; non è dolciastro come talvolta lo è l’eufemismo; non appare sgrammaticato come l’anacoluto. L’ossimoro (dal greco: acuto/ottuso) è diretto e induce alla riflessione. Chi non si è mai soffermato di fronte ad espressioni, peraltro abusate , tipo “lucida follia”, “silenzio assordante” o “ Ghiaccio bollente”, come il titolo di una canzone in voga negli anni Sessanta?

Nel concerto che si terrà al Miela l’ossimoro è costituito dall’incontro tra il quartetto d’archi, per sua natura di tradizione accademica, e la mia annosa vicenda jazzistica, ancorché supportata e ispirata dalla musica eurocolta. Nell’ossimoro che è “Ossimoro” il classico quartetto d’archi viene stimolato al libero dialogo con la libera invenzione jazzistica o, come preferisco definirla, con la libera composizione istantanea. Un’apertura al possibile altro musicale. E “Ossimoro” rappresenta il mio personale contributo affinché ciò possa avvenire sempre più sovente.

Enrico Intra