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IL TORO

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(Italia, 1994, 105’)
di Carlo Mazzacurati
con Diego Abatantuono, Roberto Citran, Marco Messeri, Marco Paolini
Copia proveniente da Cineteca di Bologna per concessione di RTIMediaset. Restaurato da Cineteca di Bologna, in collaborazione con RTI-Mediaset e Infinity+ con il sostegno di MiC, presso il laboratorio L’Immagine Ritrovata

Omaggio a Carlo Mazzacurati, regista padovano “cantore del Nordest”, scomparso prematuramente dieci anni fa: premio Leone d’Argento a Venezia, “Il Toro” è un road-movie girato fra Italia e Ungheria con protagonisti Diego Abatantuono e Roberto Citran.

Franco e Loris, l’inserviente licenziato di un allevamento bovino e un piccolo allevatore sull’orlo del fallimento, sono in viaggio dal Nord Italia all’Ungheria, in camion, in treno, a piedi. Li accompagna Corinto, il numero cinque al mondo, campione della riproduzione artificiale, che i due hanno rubato all’allevamento e vogliono vendere. E il suo ritmo imponente e inerme è anche quello su cui si calibra il ritmo del film: scorrevole e senza fretta, con lunghe pause “ruminanti” durante le quali Franco e Loris sfiorano la tristezza della guerra, la desolazione di profughi, l’arroganza di quelli che fanno affari nella terra di nessuno dell’ex socialismo.
«Nel Toro ci sono tutti gli elementi della tradizione classica del western – pensavo a Il grande cielo, al punto di vista che ha Hawks, così morale, democratico, alla sua idea del commercio, della libertà – assieme a un’attenzione un po’ imbarazzata al contesto dell’oggi. Quindi la mandria non è più una mandria, ma una valigia-merce che l’Occidente ha, una tecnologia che può servire. Il film ovviamente non ha più il respiro dello spostamento, del selvaggio. C’è però l’uso di codici cinematografici precisi, che noi comprendiamo anche se privi del loro riferimento naturale. […] Quando abbiamo fatto Notte italiana, nell’86-’87, c’era un grande ottimismo in giro, e il pessimismo del film era in contrasto con questo clima euforico. Nel frattempo siamo sprofondati in un abisso e, mettendomi nei panni dello spettatore, non me la sentivo di fare un film con un finale deprimente. I miei personaggi reagiscono, sia pure in modo folle. Si rimettono in cammino, ed è giusto che la vita regali loro qualcosa». (Carlo Mazzacurati).

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